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Lu Gattu Puzzu – Il logo delle Edizioni Malamente

Lu gattu puzzu, nel bestiario popolare delle basse Marche, è un gatto “pazzo”, dispettoso e aggressivo. Sfuggente e imprevedibile, è temuto e additato come colpevole di stragi nei pollai.

Con diversi nomi lo si ritrova nelle leggende locali di varie parti della dorsale appenninica centro-meridionale. Qui, tra i boschi misti delle aree collinari e le faggete montane, vive in effetti uno strano gatto – il Felis silvestris silvestris per la tassonomia scientifica – che sta al gatto domestico come il lupo al cane, come il cinghiale al maiale: è il suo parente selvatico. L’aspetto è tutto sommato simile, anche se ha zampe più slanciate, coda più grossa e folta e il mantello sempre tigrato, grigio giallastro con striature nere.

La differenza la fa però il carattere. Felino selvatico, fortemente schivo, il gatto pazzo è uno degli animali più evasivi del bosco, per niente accomodante, né uso a ingraziarsi coccole. Predilige anzi le zone più impervie e meno frequentate dagli umani. Predatore solitario e notturno, si nasconde di giorno tra le rocce, nelle cavità degli alberi o in tane abbandonate, per questo è difficilissimo avvistarlo tanto da avergli attribuito la fama di “fantasma dei boschi”, declinata nelle Marche in “fantasma dei Sibillini”, attribuendogli ogni provocazione e nefandezza.

Insomma, un gatto leggendario e indomito, un gatto senza padroni… un gatto malamente, che per questo abbiamo scelto di raffigurare nel logo della nostra casa editrice.

Il gatto, d’altra parte, è anche uno dei simboli della tradizione sovversiva internazionale. L’origine del suo utilizzo risale agli Stati Uniti del primo Novecento, disegnato da Ralph Chaplin come icona del sindacalismo radicale dell’Industrial Workers of the World. Schiena inarcata, coda dritta e artigli di fuori, il gatto nero sindacalista è l’esatto opposto del cane difensore dell’ordine e dei padroni: simbolizza autonomia e disobbedienza, richiamando i concetti di azione diretta e sabotaggio. Si tratta infatti di un gatto sabotatore – conosciuto come sab cat – presentato dal suo disegnatore nell’ultima strofa della poesia The Harvest Song (1913), primo esempio verificabile di ingresso del gatto nell’immaginario sovversivo: «Noi scateneremo il gatto del sabotaggio se non avremo quel che ci spetta!». L’origine, a quanto pare, si lega alla tradizione superstiziosa del gatto nero che porterebbe sfortuna: il padrone che vedeva attraversare il suo cammino dal sab cat sindacalista, poteva star certo che c’erano guai in arrivo.

Speriamo allora che anche il nostro gattu puzzu possa dire male a chi ci vuole male, accompagnandoci libro dopo libro con il suo adorabile caratteraccio.

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